Centro di Salute Mentale di Gorizia

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Il Centro di Salute Mentale 24h DAI di Gorizia si trova in Via Vittorio Veneto 174 all’interno del Parco Basaglia è un luogo di incontro e di scambio, di ospitalità e di socialità ed offre prestazioni, interventi e programmi alle persone del territorio di competenza in ordine alla salute mentale.

Il CSM è attivo sette giorni su sette, 24 ore su 24, (la notte per gli accolti), con 8 posti letto per l’ospitalità notturna e attività domiciliari e territoriali. Svolge attività di continuità di cura, attività ambulatoriali, attività diurne individuali e collettive diversificate.

L’attività principale è quella di accogliere la domanda di cura delle persone con problemi e disturbi mentali gravi, ma anche delle persone che, in certi momenti della loro vita, sperimentano situazioni di difficoltà e disagio, per accompagnarla nel territorio, nei contesti di vita delle persone, anche in collaborazione con cooperative sociali e soggetti del terzo settore.

Il CSM è il punto di accesso ai servizi di salute mentale, svolge il coordinamento delle attività e la programmazione degli interventi di cura e accompagnamento nei contesti di vita delle persone. Il lavoro di cura con programmi e interventi dedicati sono indirizzati alla popolazione che presenta problemi e disturbi mentali gravi, e a chi nelle diverse fasi della vita e di fronte a particolare eventi, sperimenta condizioni anche transitorie di angoscia e di tristezza, di paura e di ansia.

Il CSM di Gorizia in particolare garantisce gli interventi rivolti alla tutela della salute mentale e dei disturbi del comportamento anche di adolescenti e giovani adulti attraverso un Equipe dedicata in collaborazione con altre struttura aziendali, della cooperazione sociale e di altre agenzie informali , sia, nella fase di transizione all’età adulta che per le assunzioni in cura e prese in carico ad accesso diretto.

La richiesta, di solito, è posta direttamente dalla persona interessata e/o da terzi coinvolti.

Il criterio base del lavoro è il sostegno alle persona nell’esercitare i propri diritti fondamentali e di vedere garantito l’accesso a opportunità sociali (casa, istruzione, formazione al lavoro, gestione della salute, attività del tempo libero), accompagnandola nei suoi percorsi abilitativi e di guarigione, orientandola nel rapporto con altri servizi, istituzioni, agenzie del territorio e le persone di riferimento.

Direttore è Paola Zanus Michiei.

Il CSM è organizzato per intervenire a domicilio, non solo nelle case delle persone ma anche nei luoghi di vita (ospedale, pensionato per anziani, carcere, REMS o i centri per il rimpatrio in caso  di cittadini stranieri) e nelle sedi delle altre strutture del DSM per garantire nel miglior modo possibile la continuità terapeutica.

A Gorizia, nel 1961, nominato Franco Basaglia direttore dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale, cominció - possiamo dire - la storia basagliana.

“Solo Gorizia esprime, dopo anni di lavoro silenzioso, un modello credibile di trasformazione del manicomio. Dimostrando la pratica applicabilità della socioterapia di derivazione anglosassone, ne svela al tempo stesso i limiti e ne critica i presupposti, rovesciando una posizione di tradizionale subalternità della psichiatria italiana ai modelli terapeutici europei. La forza di Gorizia consiste, in primo luogo, nella visibilità dei risultati e nella costanza di una pratica critica sviluppata lungo quasi un decennio. La quantità di significati e implicazioni che porranno questa esperienza al centro del nascente movimento nazionale, le derivano da una serie di convergenze nella società civile e nelle lotte istituzionali e operaie alla fine degli anni ’60. Non c’è dubbio infatti che Gorizia abbia parlato molti linguaggi, consentendo di liberare altrettante alleanze in quella parte della società che esigeva dei cambiamenti: - la critica del manicomio come "istituzione totale"; - la critica del modello della malattia, intesa come statuto e come organizzazione clinica che, in quanto tale, parla meno del malato e più del potere che si esercita su di lui; - il rendere esplicite le connivenze esistenti tra il sapere e "l’ordine psichiatrico" con le regole dell’organizzazione sociale generale e con le pratiche espulsive, di controllo dei comportamenti devianti. Il modello della comunità terapeutica è stato interpretato e agito alla lettera, come una pragmatica che modificava completamente la vita quotidiana dell’istituzione, scomponendone le leggi interne e svelando, con i mezzi della realtà, l’artificio del "doppio istituzionale". In questo sforzo, l’équipe che lavorava a Gorizia ha potuto sottrarsi alle ideologie di modernizzazione della psichiatria nel sociale, interrogando la collocazione speciale nel manicomio e lo statuto d’eccezione della psichiatria nell’alveo delle scienze mediche. Nel corso della trasformazione e dall’interno dell’O.P., l’équipe goriziana ha teorizzato e praticato il rifiuto a indagare la malattia in sé, nello sguardo e nell’ascolto clinico, per sviluppare un altro sapere, accessibile e generalizzabile, dell’organizzazione della malattia nel registro della realtà dei rapporti istituzionali. L’utopia della realtà è stata usata per contrastare le oscillazioni che inevitabilmente si producono in un processo di trasformazione istituzionale: tra chi sottostà all’inerzia dell’organizzazione della malattia e ne condivide, in ultima istanza, regole e procedure; a chi, sull’onda del cambiamento, rischia continuamente de cadere dall’altra parte, nei tranelli e negli auto-inganni del paternalismo terapeutico: la catena delle "dipendenze buone", tolleranza, seduzione, gratificazione e tutta la vasta gamma di effetti che si producono nella fascinazione istituzionale. La "messa tra parentesi della malattia", questa ostinazione imputata al gruppo goriziano come radicalità distruttiva e che è stata in seguito più volte fraintesa (vuoi come negazione tout court della malattia, o come una posizione di radicalità politica del corpo curante, giustificata dall’arretratezza della situazione psichiatrica italiana) era invece una faticosa astuzia che presupponeva un profondo sapere della malattia, e una consapevolezza altrettanto profonda delle sue costruzioni cliniche e istituzionali. Analogamente a quanto è accaduto negli altri movimenti riformatori, anche qui veniva messo al centro della trasformazione istituzionale il rapporto curante-curato; tuttavia, con la "messa tra parentesi della malattia" si ponevano le condizioni, per così dire, di un transfert simultaneo e bifronte tra medico e paziente, che esplicitasse – in senso reale, non metaforico – i reciproci rapporti di potere. Se il malato era in qualche modo costretto a interagire e a partecipare all’organizzazione collettiva, lo psichiatra e l’infermiere dovevano a loro volta sottoporsi a una pedagogia del rischio, a una sfida autentica dei poteri dell’altro, a una concreta assunzione di responsabilità nel rapporto. In tal modo la critica dell’autorità latente del medico, nella comunità terapeutica, si salda con l’attribuzione al paziente di una contrattualità che, nel chiuso del manicomio, è connessa al suo statuto di malato. La frode congenita, denunciata da Freud per l’isterico, si estende al terapeuta come colui che manipola l’arcano della malattia dirigendo la sua organizzazione, le regole della sua riproduzione. In questo senso il rapporto medico/paziente è denunciato come una forma di auto-inganno sistematico: i saperi in esso utilizzati sono messi a nudo, nel loro prestare coerenza a realtà incongruenti, nel rendere legittimo l’inaccettabile. L’attenzione viene focalizzata su tutto ciò che l’istituzione produce come stravolgimento, incrostazione "doppio" della malattia, per il fatto che il manicomio si fa carico in realtà di qualcos’altro le cui ragioni non stanno nella malattia. In questo la lotta di Gorizia è radicale: non investe solo la psichiatria ma anche le istituzioni ad essa adiacenti e concomitanti come la medicina, la giustizia, l’assistenza. Non è una lotta contro l’arcaicità dell’istituzione, con la quale è stata spesso scambiata. Al contrario, essa è in grado di illuminare le forme di travestimento che l’impianto organicista subisce nella conversione dei saperi al sociale, e nelle nuove forme di esorcismo della domanda originaria della persona sofferente. Alla domanda che cos’è la psichiatria, l’esperienza del movimento italiano che comincia con Gorizia risponde che, qualunque vocazione terapeutica (sia nell’enfasi posta sulle potenzialità terapeutiche dell’istituzione riformata, che nell’investimento del sociale e del territorio) condanna la psichiatria a ripetersi nel coltivare la stessa presunzione delle sue origini: quella di voler espellere dal suo ordine depurato, e dissimulare sotto forma di malattia, il carico di miseria e povertà che tradizionalmente le viene assegnato. Tale carico non rappresenta la sua cattiva eredità, il suo anacronismo, ma è la sua contraddizione, il suo oggetto sociale.” (Franco Basaglia e Giovanna Gallio, Vocazione terapeutica e lotta di classe)