Franco Basaglia

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Franco Basaglia, nacque a Venezia nel 1924 da una famiglia della ricca borghesia, si formò alla Facoltà di medicina dell’Università di Padova. Fin da subito si avvicinò ai gruppi studenteschi antifascisti e, a causa di denuncia di un compagno, fu detenuto per un certo periodo nelle carceri della Repubblica Sociale Italiana durante la Seconda guerra mondiale.

Si specializzò nel 1953 in malattie nervose e mentali presso la clinica neuropsichiatrica della medesima università di Padova e nello stesso anno sposò Franca Ongaro, con cui ebbe due figli, Enrico e Alberta.

Il pensiero di Basaglia si caratterizzò fin da subito per i suoi elementi rivoluzionari. A differenza degli psichiatri tradizionali, si formò sui testi del movimento fenomenologico-esistenziale, come ad esempio Jean-Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty, Edmund Husserl e Martin Heidegger, che studiarono l’uomo nella sua relazione all'esistenza e non nelle sue funzioni cerebrali e biologico-organiche. Seguendo questo percorso Basaglia rifiutò i trattamenti disumani propri dell’ospedale psichiatrico e l'oggettivazione del paziente al fine di introdurre una nuova lettura umana del malato e dei suoi bisogni. L’impostazione filosofica di Basaglia spinse il suo docente di riferimento, il direttore della clinica Giovanni Battista Belloni, a soprannominarlo ironicamente “il Filosofo”. Nonostante le dure critiche, Basaglia esercitò la professione accademica dal 1958 al 1961. Tuttavia la disciplina di allora era orientata ad una lettura molto tradizionale della scienza psichiatrica e ciò spinse Basaglia ad uscire dall’orbita universitaria.

La postura propria dell'approccio fenomenologico, ovvero di “sospensione del giudizio”, consiste nel mettere tra parentesi le etichette sociali, spogliarsi delle certezze per rapportarsi in maniera aperta all'esperienza. Un'impostazione che accompagnò Basaglia non solo negli anni dell'università, ma che egli portò con sé lungo tutto il suo percorso, facendola diventare quindi non più un esercizio di stile di pensiero, ma anche prammatica e azione quotidiana sia sul piano sociale sia politico, infatti lungo la traiettoria della vita di Basaglia si susseguirono a più riprese momenti in cui venivano generati nuovi spazi di rottura con gli schemi rigidi e insostenibili del passato che la società continuava a riprodurre.

Nel 1961 Franco Basaglia divenne direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia incontrando una realtà di forte degrado e violenza che egli ricordò come l’esperienza del carcere vissuta in prima persona e che decise quindi di non accogliere. Fin dai primi giorni Basaglia rifiutò i protocolli tradizionali del suo incarico di direttore, in particolar modo quelli relativi all’uso della contenzione fisica. Divenne celebre il primo momento in cui si oppose a tale pratica esercitando un’azione di disobbedienza civile. Una mattina un’infermiera gli chiese di autenticare le contenzioni praticate durante la notte dai colleghi, ma lui rispose in dialetto veneziano “mi non firmo”. Basaglia e la sua équipe si impegnarono a superare i metodi manicomiali attraverso metodi radicalmente più liberi e umani di organizzazione e comunicazione all’interno dell’ospedale psichiatrico. Basaglia fu un lettore dello psichiatra scozzese Maxwell Jones e si ispirò fin dagli albori alla sua esperienza di “comunità terapeutica”. L’impostazione di Basaglia però divenne via via sempre più radicale in quanto egli non riteneva sufficiente umanizzare l’ospedale psichiatrico, serviva superato. In questo senso il suo obiettivo consisteva nel restituire i degenti alle proprie famiglie e alla comunità riconoscendo ad essi i diritti civili e sociali negati dall’istituzione manicomiale. Nel 1967 curò il volume Che cos’è la psichiatria? e l’anno successivo L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, un libro simbolo della contestazione italiana che fece conoscere a livello internazionale l’esperienza di Gorizia.

Nel 1969 si recò negli Stati Uniti, invitato in qualità di visiting professor, per un periodo di sei mesi, dal Community Mental Health Center del Maimonides Hospital di Brooklyn, a New York. In quello stesso anno curò, assieme a Franca Ongaro, Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin; scrisse inoltre l’introduzione all’edizione italiana di Asylums di Erving Goffman e di Ideologia e pratica della psichiatria sociale di Maxwell Jones.

Al ritorno dagli Stati Uniti Basaglia decise di rigettare l’incarico a Gorizia in quanto egli intendeva superare radicalmente il modello inglese, aprire i servizi sul territorio, e chiudere il manicomio, ma la sua proposta non venne accolta dalla città, in particolare dalla nuova Giunta da poco insediata.

Basaglia successivamente diresse l'ospedale psichiatrico di Colorno, in provincia di Parma, dal 1970 al 1971, convocato da Mario Tommasini e con il quale mantenne un lungo rapporto di collaborazione. Nel 1971 uscì La maggioranza deviante. L’ideologia del controllo sociale totale, curato con Franca Ongaro. Anche a Parma tuttavia le difficoltà non mancarono, soprattutto a causa dell’amministrazione della Provincia, che, seppur con un orientamento di sinistra, non sostenne le idee di Basaglia.

Nel 1971, in seguito ad una lettera inviata all’amministrazione provinciale, Basaglia venne chiamato a Trieste dal Presidente della Provincia, il democristiano Michele Zanetti, a dirigere l’Ospedale Psichiatrico con la libertà di compiere tutte le scelte che egli riteneva più opportune. Da subito Zanetti e Basaglia si trovarono d’accordo: è proprio a Trieste di conseguenza che Basaglia riuscì a portare a termine il suo progetto di superamento del manicomio aprendo i servizi sul territorio. Basaglia costruì un’équipe di giovani collaboratori, spesso inesperti ed alle prime armi, cosa che per lui portava valore all’esperienza, in quanto non omologati alla psichiatria tradizionale.

Trieste fin dal 1973 diventò “zona pilota” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la salute mentale e nello stesso anno in questa città, nel contesto delle radicali trasformazioni portate avanti dal gruppo basagliano, nacque la prima “cooperativa sociale” di pazienti psichiatrici, per superare lo sfruttamento del lavoro gratuito degli internati nel manicomio. La Cooperativa prese il nome della CLU (Cooperativa Lavoratori Uniti), realtà esistente ancora oggi e una delle più importanti cooperative sociali presenti sul territorio cittadino. La suddivisione dei reparti dell'ospedale psichiatrico di San Giovanni sulla base delle caratteristiche dei pazienti venne in poco tempo superata e sostituita dal partizionamento in cinque zone corrispondenti alle aree del territorio cittadino, nei quali si voleva tornassero a vivere gli ex internati. A partire dal 1975 nacquero i primi Centri di Salute mentale aperti sulle 24 ore. Il gruppo basagliano puntò sul coinvolgimento attivo di tutti gli operatori, dei “pazienti” e coinvolgendo anche giovani tirocinanti, volontari dalla città e da tutto il mondo. Tra le fila dei numerosissimi professionisti che si impegnarono nella causa vi furono anche artisti, musicisti, scrittori, filosofi, tecnici e amministratori.

Nel 1975 Basaglia curò con Franca Ongaro il volume Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come custodi di istituzioni violente, e l’introduzione a Lo psicanalismo. Psicoanalisi e potere di Robert Castel.

Nel 1977, nel comprensorio dell’ospedale psichiatrico, si svolse il terzo incontro del “Réseau internazionale di alternativa alla psichiatria”, intitolato “Il circuito del controllo”, a cui parteciparono circa quattromila persone.

Nel 1978 venne finalmente promulgata la Legge 180, a lui comunemente attribuita, che impose la progressiva chiusura degli ospedali psichiatrici in Italia, con la creazione di servizi territoriali ad essi alternativi  e la riforma del Trattamento Sanitario Obbligatorio. L’iter difficile della legge venne raccontato nel testo La nave che affonda, lungo dibattito tra Franco e Franca Basaglia, Agostino Pirella e Salvatore Taverna, giornalista che attraversò di persona l’esperienza del disagio. Basaglia non vide la legge 180 come il definitivo compimento dell'esperienza antimanicomiale, ma come uno dei momenti in cui la psichiatria alternativa rischiava di affermarsi essa stessa, a sua volta, come ideologia.

Nel 1979 Basaglia affrontò due importantissimi viaggi in Brasile, da San Paolo a Belo Horizonte, passando per Rio de Janeiro, tenendo alcune conferenze che verranno poi raccolte nel volume Conferenze brasiliane. Nello stesso anno contribuì e presentò il libro-inchiesta, curato da Ernesto Venturini, il giardino dei gelsi. Dieci anni di antipsichiatria italiana.

Nel novembre dello stesso anno lasciò la direzione dell'Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste cominciando a lavorare a Roma per la riforma dei servizi psichiatrici nella Regione Lazio. Poco dopo, nella primavera del 1980, si manifestarono i primi segni di un tumore cerebrale che lo condurrà alla morte in pochi mesi. Si spense il 29 agosto nella sua casa di Venezia. Tra il 1981 e il 1982 uscirono, a cura di Franca Ongaro, i due volumi dei suoi Scritti.

“Non so cosa sia la follia. E' una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia.”



Bibliografia

Franco Basaglia, Conferenze brasiliane, Raffaello Cortina Editore, 2000

Mario Colucci, Pierangelo di Vittorio, Franco Basaglia, AlphaBeta edizioni, 2001

Claudio Ernè, Basaglia a Trieste, Cronaca del cambiamento, Stampa alternativa, 2008

Pier Aldo Rovatti, Restituire la soggettività. Lezioni sul pensiero di Franco Basaglia, AlphaBeta edizioni, 2013